Recensione di “Il dono del tempo” di Piero Cristofani a cura di Luca Lenzini

Il dono del tempo

Le recensioni dei nostri romanzi di formazione: un viaggio nei sogni dei giovani di oggi

 

di Luca Lenzini

 

Il dono del tempo

Il libro di Piero Cristofani, Il dono del tempo (Roma, Curcio, 2022), viene presentato sin dalla soglia del testo – nell’“aletta anteriore” del volume – come “romanzo di formazione”: Bildungsroman, quel genere che secondo Franco Moretti, «ha forgiato il secolo d’oro della narrativa occidentale» (F. Moretti, Il romanzo di formazione, Milano, Garzanti, 1986, p. 9).

Definizione pertinente, in quanto nel suo insieme il libro racconta il percorso del protagonista, Nevio (tutto è narrato dal suo punto di vista), nel passaggio dalla giovinezza all’età matura attraverso varie fasi che si legano a tre luoghi distinti: Messina, Milano, Atene (tali i titoli delle tre sezioni); un itinerario insieme spirituale e materiale, spaziale e mentale.

Dunque Nevio è in una bella e folta compagnia, da Wilhelm Meister a Renzo Tramaglino, da Fréderic Moreau a Eugenio Onieghin e tantissimi altri (proprio all’inizio è chiamato in causa, in tono autoironico, il giovane Werther con gli annessi dolori, p.14). Infatti il viaggio delineato dai tre titoli interni  è il tracciato di una ricerca individuale che conosce vari momenti ma prevede un approdo che è, in primo luogo, interiore: come risulta dal cap. 21 di Atene, nel finale. E sin dal primo capitolo, ovvero a partire dalla improvvisa rottura del fidanzamento di Nevio con Maria, crisi che come una ferita inaugurale apre la messa in questione dell’ordine stabilito (l’ordine cioè di un’esistenza incardinata nella tradizione), la vicenda esistenziale così messa in moto aspira esplicitamente alla meta di un equilibrio tra interno ed esterno, io e mondo, pensiero ed azione.

Non è una fuga, perciò, quel percorso, ma il diagramma di un incremento esistenziale perseguito negli anni. Come vuole il “genere”, lo sviluppo, lo svolgersi della ricerca comporta un processo di emancipazione di ordine in primo luogo psicologico, alimentato tanto di cultura quanto di allenamento fisico e mentale, un apprendistato vero e proprio durante il quale Nevio è accompagnato da alcuni interlocutori privilegiati, dal frate Francesco all’amico Pino: se il primo investe, diciamo così per intenderci, la sfera spirituale, il secondo è decisivo sul piano culturale, per le letture e le ispirazioni o insegnamenti che via via e frequentemente affiorano sulla pagina, dove si leggono citazioni da T.S. Eliot – che compare nei punti chiave (Four Quartets) – Erich Fromm (Voi sarete come dei, Il linguaggio dimenticato: titoli ingiustamente dimenticati nel bazar editoriale di oggi), Revel (Né Marx né Gesù, 1970), Coleridge, Spinoza, Nietzche (La gaja scienza)… 

Questi nomi, va subito aggiunto, non compaiono nel romanzo come elementi decorativi, come dotte citazioni: si tratta piuttosto di tasselli di un mosaico in movimento, triangolazioni che rientrano nell’aria del tempo e contemporaneamente stabiliscono passaggi indicativi del percorso del protagonista, che è tutto immerso nella propria epoca e nelle sue componenti culturali. In un certo senso e a un diverso livello, come l’Inter di Herrera ricordata con nostalgia o le canzoni di Leonard Cohen, queste componenti portano con sé frammenti di biografia individuale e collettiva, contaminano con la loro aura il processo in corso. E tuttavia, è anche palese che questi elementi, per quanto significativi e a loro modo eloquenti, non sono sufficienti, di per sé, a dar conto dell’organismo complessivo del libro, della sua stratificazione e della evoluzione del personaggio-protagonista; soprattutto, della ricchezza di spunti e di situazioni del romanzo.

C’è nel libro una pluralità di personaggi, di voci e di ambienti che s’impone al lettore con una sua dinamica e come spontaneamente, in virtù del ritmo rapido dei vari paragrafi che compongono i tre macro-capitoli: qui domina una successione di fatti minuti, di incontri, di luoghi molto diversi tra loro, raccontati però senza pesantezze, senza insistenze, tratteggiati con pochi tocchi, mettendo a fuoco il particolare (un cibo, una vestaglia, un ritratto…).

Sono le azioni, i dialoghi a far procedere il racconto. La superiorità che a un certo punto viene evocata del “vivere” sul “pensare”, antico e risorgente stereotipo, è perciò in chiave con questa andatura, con questo stile. C’è poi da dire che nell’attraversamento di questa selva di amici e amanti, negli incroci e nelle sliding doors di questo coro epocale la posizione del protagonista – altro punto decisivo, a me pare – non assume mai un punto di vista dall’alto, di chi giudica “super partes” o obbedisce a pregiudizi di sorta (sia negativi che positivi).

C’è un che di picaresco, invece, nel vagabondaggio del protagonista; qualcosa che si rivela nell’attrazione per il mondo del circo (mondo pre-borghese, fuori e dentro di ogni epoca, in perenne movimento e non integrato nell’Ordine: cap. 13 di Atene, uno dei più riusciti) e c’è, sottolineo, un suo continuo adattamento ai luoghi ed alle circostanze che fanno parte integrante dell’itinerario di formazione, in quanto quella disponibilità sta a indicare un’adesione all’aprirsi del destino alle occasioni, l’accettazione del possibile come orizzonte dell’agire, dello sviluppo interiore: il quale sviluppo rifiuta, è bene ribadirlo, le leggi del “mercato” (ma in fondo anche quelle del Convento degli inizi, dov’è forse una eco del Dedalus di Joyce), ripudia gli standard correnti che regolano le carriere – cruciale al riguardo il capitolo milanese  – e non a caso segue, a volte, le suggestioni del sogno.

Diversi sogni, infatti, punteggiano la narrazione e, anche qui, non abbiamo a che fare con dei fattori esornativi bensì con agenti di una logica “altra”, irriducibile alle mappe della razionalità mercantile o sociale nel senso del conformismo. I sogni veicolano significati provenienti da zone incognite ma preziose come risorse per il viaggio, hanno insomma una funzione narrativa, così come il motore dell’erranza è sempre Eros (Paola, Miriam, Kleopatra, Rula ne sono le figure).

Agente di compagnia di assicurazioni, sguattero, “lavaggista” di auto, venditore di segreterie telefoniche, barista, compilatore di tesi universitarie a pagamento: è un tipo di percorso, quello di Nevio, che più facilmente possiamo trovare nei racconti di autori americani che non italiani, e che conferisce una dimensione polifonica al testo, come in una specie di caleidoscopio sociale. Solo di recente, con il mutare in profondità del paesaggio socio-economico e l’apparire del precariato (si vedano, ad esempio, gli eccellenti lavori di Alberto Prunetti) abbiamo incontrato qualcosa di analogo nella narrativa nostrale; e direi che proprio qui, in questa esplorazione di zone marginali e variegate, risiede una impronta originale e portante del libro.

Al di là dei possibili modelli letterari, riecheggia in questo versante la versatile, mimetica dote del narratore orale, che è poi l’archetipo di ogni narratore e che, come ci ha insegnato Benjamin, si collega strettamente al motivo del viaggio. 

Il libro è disponibile sul nostro Curcio Store, a questo link.