Contro la disparità salariale di genere

L’8 marzo si celebra la Giornata internazionale della donna; purtroppo l’arrivo di questa festività comporta il sorgere di alcune ambiguità. Si festeggia effettivamente la donna che però, nella realtà, non ha ancora ottenuto tanti dei diritti che le spettano e per i quali sono state sostenute lunghe battaglie. Uno dei problemi principali ancora da affrontare è quello della disparità salariale di genere e della penuria di donne in posizioni di potere.

Gender pay gap

Con l’elezione di Joe Biden come Presidente degli Stati Uniti, è stato possibile assistere all’ascesa delle donne alla Casa Bianca con Kamala Harris, prima donna e prima persona afroamericana e asioamericana ad assumere il ruolo di vicepresidente degli Stati Uniti. Queste sono svolte che danno il senso di un cambiamento e dell’opportunità che si stia finalmente affermando un nuovo assetto sociale. Ma tante sono ancora le problematiche da affrontare nella quotidianità a livello lavorativo e salariale. Dai dati dell’IISTAT del 2018, ad esempio, scopriamo che le donne nell’Unione Europea hanno guadagnato quasi il 15% in meno rispetto agli uomini. Ma non solo, il divario retributivo aumenta di molto nel momento in cui le posizioni da ricoprire si fanno più alte. Infatti, nella retribuzione delle manager si sono osservate le differenze più sostanziali in quanto la paga oraria risulta più bassa per loro del 23%.

Disparità salariale e mancanza di indipendenza economica

Parte delle differenze di retribuzione si possono spiegare con le caratteristiche individuali delle donne e degli uomini occupati (ad esempio, esperienza e istruzione) e con la segregazione di genere a livello occupazionale (ad esempio, ci sono più uomini che donne in alcuni settori/occupazioni con retribuzioni mediamente più alte rispetto ad altri settori/occupazioni). Di conseguenza il divario retributivo è legato a svariati fattori culturali, legali, sociali ed economici che vanno molto oltre la mera questione di un’uguale retribuzione per un uguale lavoro.

Come chiarisce bene quanto riportato nel report dell’ISTAT sul reddito maschile e femminile, queste disuguaglianze retributive hanno origini profonde che derivano dalla struttura fortemente patriarcale della cultura e del tessuto sociale e da aspetti legali ed economici. Uno dei tanti motivi che va a contribuire al gender pay gap (appunto il divario retributivo a parità di mansione) risiede nella necessità (non nella volontà) delle donne di lavorare part-time, una soluzione oraria che consente loro di fare fronte alle innumerevoli attività alle quali gli uomini partecipano ancora troppo poco. Inoltre questo bisogno di lavorare un quantitativo di ore minore deriva anche da scelte politiche, sociali ed economiche che non puntano sul finanziamento di servizi per l’infanzia e la cura delle persone più anziani. Questo ovviamente comporta la necessità di adattarsi e occuparsi in autonomia di queste attività.

Occupazione femminile: in Italia cade a picco

Se il problema della disparità salariale è già di per sé molto evidente e tristemente pervasivo, il bassissimo numero di donne occupate in Italia fa davvero riflettere e comprendere quanto l’uguaglianza di diritti sia ancora lontana dal poter essere considerata una realtà effettiva. Emergeva per esempio dai dati ISTAT 2018 come nel Mezzogiorno lavorasse solo il 32,2% delle donne a fronte del 59,7% nel Nord (percentuale comunque ancora bassissima). Questi dati mettono in luce un profondo disagio derivante dalla mancata indipendenza economica e finanziaria di molte donne che non può consentire un effettiva e totale emancipazione.

Due scrittrici affrontano il problema della disparità salariale e ci parlano di femminismo

Nel suo libro Dovremmo essere tutti femministi, Chimamanda Ngozi Adichie ci parla di come gli uomini, proprio in virtù della possibilità di ricoprire ruoli di potere e godere di salari più alti, sostanzialmente governino il mondo. Tutto questo, sottolinea la scrittrice, ha forti ripercussioni anche a livello quotidiano; ad esempio l’uomo è considerato ancora da molti/molte come colui che “deve pagare”, facendo così in modo che da un lato si perpetri la convinzione maschile che sia necessario mostrare la virilità con mezzi materiali e che dall’altro la donna sia posta in una situazione di subalternità economica.

Anche Anna Kuliscioff nel suo libro Il monopolio dell’uomo, realizzato a partire da una conferenza tenutasi nel 1890, sottolineava quanto fosse importante per le donne avere la possibilità di lavorare per ottenere l’indipendenza economica e una reale emancipazione: «Mi pare quindi, che solo col lavoro equamente retribuito, o retribuito almeno al pari dell’uomo, la donna farà il primo passo avanti ed il più importante, perché soltanto col diventare economicamente indipendente, essa si sottrarrà al parassitismo morale, e potrà conquistare la sua libertà[…].

Insomma l’aumento del numero delle donne occupate e il raggiungimento di una vera parità salariale sono questioni che intrecciano strutture sociali, politiche ed economiche con la realtà quotidiana. Soltanto cambiando intere strutture anche mentali sarà possibile attuare un reale cambiamento.

Flavia Palieri