Donne e discipline STEM

Donne e discipline STEM. Sarebbe davvero un sogno se se i dati fossero diversi, invece la discrepanza tra presenza maschile e presenza femminile nelle discipline STEM rimane fortissima. È quindi necessario spiegare l’origine di questo fenomeno e capire come rimediare.

Le statistiche parlano: troppo divario occupazionale e retributivo tra donne e uomini 

Un’indagine di Almalaurea sull’incidenza delle donne nelle discipline STEM del 2019 ci informa che la percentuale maschile laureati nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è del 59,9% in confronto a quella femminile, che si ferma al 40,1%.  L’indagine evidenzia anche che le donne iscritte a queste facoltà riportano risultati migliori dei loro colleghi maschi sia rispetto ai voti, sia in relazione alla costanza negli studi; risultano però svantaggiate nel mondo lavorativo: sono, infatti, assunte in misura minore e percepiscono un guadagno più basso rispetto agli uomini. E non è tutto: un approfondimento del Miur indica che il numero di donne diminuisce contestualmente al progredire nella carriera accademica. Come risulta quindi lampante, gli stereotipi di genere vivono ancora diffusamente nella società.

Gli stereotipi di genere: di cosa si tratta e quali sono le loro conseguenze

Dati dell’Istat relativi al 2018 evidenziano che è ancora molto diffusa tra la popolazione italiana la convinzione che l’uomo sia più interessato della donna ad avere successo sul lavoro (32,5%) e che sia meno adatto di lei alle faccende domestiche (31,5%). Questi sono solo degli esempi dei cosiddetti stereotipi, ossia pregiudizi ormai consolidati, che colpiscono le donne nella loro vita quotidiana e professionale. Sono ancora le donne, infatti, a sobbarcarsi, in misura nettamente maggiore rispetto agli uomini, il lavoro di assistenza e cura della persona (74%), svolgendo anche una professione. Questo ha ovviamente un impatto forte sulle loro vite, sulla loro incidenza nelle discipline STEM e sul loro lavoro in generale e non è giusto.

La difficile vita delle scienziate e loro conquiste

Conosciamo la difficoltà di molte scienziate nel farsi strada in un campo che per lunghissimo tempo è stato esclusivo appannaggio degli uomini. Margherita Hack fu testimone del maschilismo preponderante in ambito accademico, ma nei suoi lunghissimi anni di ricerche e studi riuscì comunque a ottenere degli importanti riconoscimenti. Arrivò, infatti, nel suo percorso, fino alla direzione dell’Osservatorio di Trieste, prima donna in Italia a ricoprire questo ruolo. Anche Rita Levi Montalcini, come l’astrofisica, cominciò a muovere i primi passi in un periodo storico-sociale davvero oscuro, e gravitò anche lei in un ambiente prettamente maschile. Riuscì però a conseguire importanti risultati grazie alle sue ricerche, conquistando così, nel 1968, il premio Nobel per la medicina. La chimica Rosalind Franklin purtroppo non ebbe la stessa storia a lieto fine.

 Rosalind Franklin: un riconoscimento tardivo

Il lungo lavoro della chimica Rosalind Franklin sul DNA la portò a comprenderne la forma e, di questa, scattò fotografie chiarissime. Le sue ricerche vennero, però, in parte sfruttate dai suoi colleghi. Infatti, Maurice Wilkins, Francis Crick e James Dewey Watson ottenerono il Nobel per la medicina, lasciando che l’importante apporto dato dal lavoro della Franklin non venisse nemmeno citato. Insomma la chimica, oltre a risentire molto, nei suoi studi, del clima maschilista e poco inclusivo nel quale fu costretta a lavorare, venne anche esclusa completamente dal riconoscimento che le spettava.

Per concludere, la nostra speranza, anzi l’obiettivo è che questo non accada più; le donne devono poter lavorare in un clima sereno e positivo in cui possano esprimere le loro competenze. Non vanno più concepiti limiti in ambito accademico e in nessun settore professionale. Le donne nelle discipline STEM sono fondamentali per tutta la collettività.