Il Campo di Segale

The Catcher in the Rye è noto in Italia come Il giovane Holden, nel tentativo di eludere le insidie del titolo originale. Pubblicato nel 1951, il bildungroman è da anni un classico della letteratura americana e mondiale.L’autore tesse la trama in maniera semplice, quasi basilare. Per contro, il giovane Holden Caulfield è l’incarnazione perfetta dell’angoscia adolescenziale, un personaggio complesso che trabocca di sfumature, un’eruzione di colori ed ironia sullo sfondo di una grigia e disperata New York.
Ciò è dovuto, sì, al genio creativo di Jerome David Salinger, che non ringrazieremo mai abbastanza, ma anche alla caparbietà dei traduttori che hanno permesso al romanzo d’imbarcarsi su un volo intercontinentale. Perché gli scrittori creano la letteratura nazionale, mentre i traduttori rendono universale la letteratura, come affermava Saramago.
Ma andiamo per ordine.

Roma, 1952.

Gherardo Casini pubblica Vita da Uomo, firmato Jacopo Darca, nom de plume di Corrado Pavolini.
Edizione presumibilmente rilasciata senza il consenso dell’autore, si tratta della prima traduzione italiana di The Catcher in the Rye, eppure invisibile al grande pubblico.
Meno di mille copie.
Tuttavia, la scarsa tiratura si basa su fattori prettamente extralinguistici, quali una pubblicazione precoce in un periodo storico in cui la profondità dell’opera era ancora infondata, parametri che la critica odierna sembra aver sepolto nell’oblio.
E quella della critica è veramente una situazione critica, critica che, seppur lo voglia, non lascia spazio al soggettivo e serra l’arte in un recinto di canoni. Perché giudicare è facile, il difficile sta nel motivare le proprie considerazioni, ma ancora più dura è rimanere imparziali ed apprezzare l’arte per ciò che è: arte.

Roma, 1961.

Nove anni dopo Darca-Pavolini, Einaudi pubblica Il giovane Holden, firmato Adriana Motti.
«Ho tradotto quaranta libri e si ricordano solo quello» commenterà la traduttrice.
Ha tradotto quaranta libri, e proprio quello che, a detta sua, non prese affatto sul serio e che tradusse sdraiata nel suo letto, è diventato la versione canonica che ha accompagnato milioni di lettori, un autentico ponte generazionale.
A livello tecnico, è palese come Darca-Pavolini abbia optato per una traduzione più source-oriented rispetto a Motti e, per quanto il gergo adolescenziale adottato possa oggi suonare piuttosto desueto, quello del traduttore è stato un approccio stilistico alquanto coerente. Si può affermare che Pavolini abbia preferito la fedeltà lessicale a discapito del bagaglio emotivo del romanzo, mentre Motti, nonostante si allontani dal testo originale quanto a scelte lessicali, si riavvicina ad esso a livello emotivo.
Se Pavolini parla con Salinger, Motti parla con Holden.

Fatto sta che Motti ha relegato negli scaffali la versione di Pavolini, «vattelappesca!»

Berlino, 2014.

Cinquantatré anni dopo, Einaudi ripubblica Il giovane Holden, stavolta targato Matteo Colombo.
E adesso?
Colombo si trova a tradurre un grande testo, di un grande autore, di cui esisteva già una grande traduzione.
Quanto all’approccio traduttivo, Colombo si riavvicina a Pavolini, puntando sulla fedeltà lessicale verso il testo di partenza. D’altra parte, secondo il traduttore piemontese, Motti godeva di una libertà creativa giustificata dal contesto storico, andando a plasmare inevitabilmente la coscienza letteraria nazionale.
Tuttavia, la creatività di Motti rischia di cadere nell’ostentazione, badando più all’arricchimento letterario nazionale frutto della sua traduzione che non alla fedeltà letteraria verso l’originale americano. Se è vero che tradurre è tradire, è altrettanto vero che sono in pochi a lottare per sfatare questo tabù. Motti avrà tradito la lettera di partenza, ma almeno lo ha fatto sotto la luce del sole.

I punti a favore della traduzione di Colombo

Tuttavia, in questo caso il punto va a favore di Colombo, in quanto ne Il giovane Holden, i fatti narrati sono poco rilevanti, laddove la sintassi frammentaria di Salinger, per bocca del protagonista, è un autentico strumento di introspezione e la parola è ciò che conta veramente.

Ora, decine di scritti e scrittori hanno analizzato gli aspetti tecnici delle tre versioni e la critica, come affermato in precedenza, raramente è rimasta imparziale. Tuttavia, con Colombo la storia di Holden Caulfield non è più narrata al passato remoto ed è tornata la vicinanza al testo di partenza in una versione che, su richiesta di Einaudi, dovrà durare almeno vent’anni. È logico pensare a uno ‘svecchiamento’ della versione di Motti, ma è sbagliato affermare che Colombo abbia eclissato la versione, finora, canonica.

È il ciclo degli eventi.

Come Motti ha relegato sugli scaffali Pavolini, Colombo sta relegando sugli scaffali Motti.
Semplice.

Perché tuo nonno avrebbe letto Pavolini,
tuo padre Motti,
e tu leggerai Colombo.

Cristian Claudiu Parghel