Insegnare l’italiano oggi: una sfida?

Curcio Studies: rubrica di formazione e informazione

Chi legge oggi l’«italiano»?

Insegnare l’italiano di oggi è una sfida per acquisire le competenze tecniche dell’italiano corretto e corrente.

Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un paese, molto più di un crollo della Borsa.

Tullio de Mauro

Il mondo della comunicazione viaggia già da diversi anni sui binari della fibra ottica. Attraverso un processo di omogeneizzazione e alternanza linguistica è nata una varietà di lingue «ibride» come lo spanglish, il franglais, il denglish e l’itanglese.

In questa sovrabbondanza di anglicismi e francesismi (anche se più frequenti i primi per via dell’egemonia della Tecnologia dell’Informazione), la lingua italiana già in un certo senso «fossilizzata» – termine ironicamente usato da Paolo Villaggio in Mi dichi. Prontuario comico della lingua italianarischia di annaspare contorcendosi su se stessa.

L’«italiano aziendale» teorizzato da Pier Paolo Pasolini oggi è diventato l’italiano standard: dall’italiano letterario fiorentino all’italiano dell’industrializzazione di Torino e Milano, la nascita della nuova varietà linguistica affonda le sue radici nei modelli del business e della tecnologia, non più nelle humanæ litteræ.


«Chi non legge smette anche di studiare»

Alla luce di questi brevi cenni sulla «questione della lingua» e della lapidaria sentenza di De Mauro, «Chi non legge smette anche di studiare», è opportuno fare le dovute riflessioni. Come è evidente dai dati ISTAT, nel 2019 le persone che hanno letto almeno un libro in tutto l’anno sono appena ventimila. Ancora meno quelle che hanno letto dodici o più libri: il conto cala drasticamente a poco più di tremila, di cui la metà circa sono posizioni quadri, direttivi o impiegati; mentre le posizioni dirigenti e imprenditori attestano un misero duecentocinquantacinque: gli impiegati leggono di più dei loro datori di lavoro. Ma a far spavento è il dato relativo agli studenti: nel 2019 gli studenti di 15 anni o più che hanno letto almeno dodici libri sono appena trecentosettanta.


Cosa significa insegnare l’«italiano» oggi?

La sfida che si pone oggi agli istituti scolastici di ogni ordine e grado è dunque fissata. Insegnare una varietà di italiano flessibile, non più «fossile», che bene si adatti alle esigenze dettate dal veloce mondo in evoluzione delle telecomunicazioni, salvaguardando al tempo stesso le origini. Non è un caso che dagli anni ’80 del secolo siano fiorite «scuole», private o parastatali, che hanno fatto dei corsi di scrittura creativa i loro cavalli di battaglia.

Oggi, come accade presso l’«Istituto Armando Curcio» di Roma in affiancamento all’attività culturale dell’«Armando Curcio Editore», l’attenzione che si pone sulla padronanza dei vari aspetti tecnici della lingua è più stretta che in passato. L’«Istituto» promuove infatti diversi corsi: editingscrittura creativa per bambini e ragazzi. E non sono meno i laboratori, fra cui il «Laboratorio di lingua italiana: modelli e generi testuali» che punta a fornire agli studenti del Corso di Laurea «Mediazione Linguistica in Editoria e Marketing» conoscenze sulle origini e sul funzionamento della lingua, ma soprattutto competenze professionali per il suo corretto utilizzo.