Parlare di intelligenza emotiva nella maniera più diretta possibile, per le attuali dinamiche sociali, è uno dei rari ed efficaci metodi per sanare la difficile emergenza interazionale che aleggia sopra le teste di tutti. È necessario capire, approfondire e rispettare le informazioni assimilate – chiarendo che per informazioni non si parla di pura nozionistica, ma piuttosto di sensazioni, percezioni e influenze, date da contesti, persone e avvenimenti – perché questa è la struttura ossea del passe–partout necessario a osservare nella giusta maniera il concetto.
INTELLIGENZA EMOTIVA: COS’È DAVVERO?
A cosa serve calcolare il QI, se non a provare a noi stessi che è possibile accostare il proprio cervello all’aggettivo “brillante”? Eppure, un cervello illuminato serve a poco, se non si comprende l’empatia, se si è indifferenti alle meccaniche del cuore o estranei alla coscienza sociale. Ecco la chiave di lettura, il pulsante d’accensione da scoprire. L’intelligenza emotiva è questo: dirigersi in maniera efficace agli altri esseri umani e a se stessi, connettendosi con le proprie emozioni, riuscendo a gestirle, trascendendo i meri aspetti cognitivi.
DALLE PRIME TEORIE ALLA POPOLARITÀ
Dove si posiziona, dunque, la più celebre intelligenza emotiva di Goleman? Doveroso precisare, che quest’idea, questo concetto e quest’essenza sono da sempre presenti nella storia della psicologia. Nonostante i primi tentativi di teorizzazione siano datati ai primi anni del secolo scorso, il dibattito su cosa sia effettivamente, va ancora avanti.
Per fare un esempio, nel 1920, Edward L. Thorndike, definiva “intelligenza sociale”, l’abilità di base per comprendere e motivare altre persone; poco più tardi (anni ’40), lo psicologo David Wechsler precisava con fermezza che alcun test di intelligenza poteva essere valido senza che si tenesse conto degli aspetti emozionali. In seguito, fu Howard Gardner a parlare di “settima intelligenza” (o intelligenza interpersonale), che più si avvicinava all’odierna definizione apparsa nel 1985 per la prima volta e ripresa solo dieci anni dopo da Goleman, il quale contribuì notevolmente all’ascesa verso la sua popolarità dandogli una veste più moderna e imponendosi come vero e proprio “guru”.
L’APPROCCIO DI GOLEMAN
Il giornalista e psicologo Daniel Goleman, quindi, si interfaccia con l’intelligenza emotiva, articolando il suo percorso in quattro differenti dimensioni di fondo:
- Auto-coscienza: riferendosi alle nostre capacità di comprendere quello che sentiamo, rimanendo attaccati ai nostri valori.
- Auto-motivazione: parlando dell’abilità in ognuno di noi di potersi focalizzare sulle proprie “mete” e conseguentemente gestire tutto quello che ne deriva (stress, gestione del tempo, ecc).
- Coscienza sociale: più volgarmente, si tratta della sopra citata empatia. Saper comunicare e comprendere chi abita nel nostro cerchio.
- Relazioni-comunicazioni: ovvero creare connessioni positive, raggiungere accordi, in vista di una maggior armonia sociale.
Quattro aree in ognuna delle quali, afferma categorico, “si deve possedere competenza omogenea“.
BAMBINI E INTELLIGENZA EMOTIVA
Nei suoi libri Intelligenza Emotiva (1995) e Intelligenza Sociale (2006), Goleman afferma che è possibile attivarla o disattivarla a seconda dell’ambiente emotivo e sociale nel quale si cresce e si viene educati, segnalando anche la necessità di educare i bambini attraverso questo punto di vista. Che sia a scuola o in casa, tutti dovremmo essere capaci di creare un contesto valido e significativo in termini di intelligenza emotiva.
Non si tratta di una declinazione poco credibile del significato che il macro-insieme “intelligenza” disegna, dunque, ma di una differente chiave di lettura. Non un becero risultato di un test standardizzato, ma la via d’accesso a un successo personale fatto di armonia, gratificazione e realizzazione.