In questa intervista, Ermanno Detti, scrittore e giornalista toscano, direttore di alcune riviste tra cui il «Pepeverde» e autore, per Risfoglia, della raccolta di racconti “L’oca Corallina“, parla della genesi dei tre racconti che compongono l’opera, del ruolo che la letteratura svolge nella società odierna e del significato della memoria.
“Queste storie sono vere e voglio raccontarle ai miei figli, ai miei nipoti e a tutti quello che avranno voglia di leggerle”. Nell’introduzione all’opera, scrive che i tre racconti che la compongono sono storie reali. Dov’è che è riuscito a raccogliere delle testimonianze così preziose e qual è il confine tra reale ed espediente narrativo?
In ogni sviluppo narrativo le storie non sono mai del tutto vere. Vere invece sono le situazioni generali, qui narrate, in cui l’Italia si trovò durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Il racconto più vero è il terzo, quello che narra di una famiglia che accolse un disertore tedesco e lo tenne, travestendolo da donna, nascosto fino alla Liberazione. Quella famiglia è la mia famiglia. All’epoca ero bambino ma ricordo le paure, le ansie, perfino le bugie che eravamo costretti a raccontare. Il primo racconto ha invece per protagonista un’oca destinata a finire in pentola per sfamare i partigiani, ma diviene il simbolo di come gli animali seguano le leggi naturali perfino in una situazione terribile come quella della guerra. Infine l’altro racconto, quello del treno, narra un fatto vero, l’odio di chi, finita la guerra e avendo subito torti terribili, ebbe difficoltà a perdonare, roso dal desiderio di vendetta verso chi aveva trucidato nei campi di sterminio i propri cari. Un odio implacabile che in parte rallentò la ripresa della normalità della vita. Quindi i tre racconti, anche laddove c’è fantasia, sono una testimonianza diretta di fatti accaduti. La colpa è tutta dell’anagrafe, sono nato l’anno dello scoppio della lunga guerra e le forti emozioni non si dimenticano.
Sono tre i racconti che compongono l’opera, ma il titolo è tratto dal nome di uno dei personaggi del primo racconto. Perché la scelta è ricaduta non solo su un racconto specifico ma, addirittura, su un personaggio in particolare? E qual è la valenza del sottotitolo Racconti di guerra e di pace?
L’oca corallina, che è poi è il titolo del primo racconto, è sembrato a me e all’editore un bel titolo capace di sorreggere tutto il libro, un titolo leggero e un po’ misterioso ma reale, l’oca aveva davvero per uno scherzo della natura alcune penne di colore rosso corallo. I racconti poi finiscono tutti con la pace, con il ritorno a una situazione di convivenza civile ed etica, quella che si creò alla fine dell’orribile conflitto. Con il desiderio di chiudere con il passato.
Qual è l’insegnamento che i giovani lettori possono, e devono, trarre da L’oca Corallina?
Il libro ha come primo obiettivo quello di una lettura piacevole e avvincente. Se si torna su un argomento passato è perché la storia deve porci interrogativi sul chi siamo, sulle capacità dell’homo sapiens di compiere atti terribili e opere e scoperte meravigliose. E ognuno deve capire fino in fondo quale di queste capacità è bene o male scegliere. Ho posto anche problemi del dopo conflitto perché già allora ci fu la naturale voglia di ricominciare (e l’oca che a dispetto di tutto crea la sua famiglia di anatroccoli ne è un esempio metaforico), ma non di dimenticare. La vita riprese ma giustamente il mondo volle che i responsabili diretti degli orrori pagassero e così fu almeno in gran parte. Ci fu chi pagò con la vita e chi con condanne all’ergastolo. Altri furono amnistiati, mentre opere di grandi scrittori e registi celebrarono sia i morti sia gli atti eroici dei sopravvissuti. Tutto questo giovò alla ricostruzione.
Queste storie mostrano come fronteggiare situazioni di pericolo, di emergenza, momenti in cui si è costretti a prendere decisioni difficili o a compiere azioni che richiedono un enorme sacrificio. Pensa che le nuove generazioni abbiano ben chiaro cosa significhi sacrificarsi per il bene comune?
Forse si attribuisce troppo valore a un libro. Certo, nel mio piccolo credo che queste storie, come altre, stimolino l’immaginazione e giova ricordare che l’immaginazione è quello che ci distingue dagli animali e ci ha distinto dagli ominidi. Quindi le storie, non solo le mie, stimolano una naturale inclinazione verso un mondo di pace, di progresso, di atteggiamenti positivi verso gli altri e i beni comuni. Si dice che le nuove generazioni vivano in un mondo virtuale, basato sulle nuove tecnologie, ma la coscienza degli umani, se muta, muta nel corso di millenni e non di una generazione. Si nota un po’ di disorientamento giovanile? Sì, in questi ultimi anni si sono offerti troppi miti inutili, forti condizionamenti, che poi hanno significato anche mancanza di vero rispetto per i giovani. Ma rispettiamo i giovani, offriamo loro non scelte definitive ma solidi valori di base e avremo ottime risposte.
In che modo pensa che la lettura della sua opera possa essere di supporto e di insegnamento ai ragazzi nell’attuale situazione di emergenza che stiamo vivendo?
Ho molta fiducia nell’umanità e l’unico insegnamento che mi sento di proporre è il rispetto, in primo luogo per chi soffre. Credo che i falsi miti a cui alludevo non siano riusciti a cancellare la buona coscienza. Sono tanti i medici, i paramedici, i volontari che accorrono per combattere contro l’emergenza Covid. Vanno e restano al loro posto mentre alcuni si ammalano e muoiono! Sono persone che hanno scelto le “capacità del bene” e compiono le stesse scelte di quelli che combatterono nella seconda guerra mondiale (come in altri periodi della storia) per conquistare la libertà e ribadire i valori umani più veri, più profondi.